Esiste la scienza, ed esiste il suo riflesso nella quotidianità. Esistono i principi della nutrizione ed esiste la loro applicabilità sulla persona. La scienza ha lo scopo di migliorare la nostra vita disegnando i confini nei quali è ritenuto utile mantenersi al fine di vivere una vita in salute il più possibile. Non ha lo scopo di porre rigidità, quanto più elasticità di scelta in base ad una serie di differenti possibilità, all’interno di principi generali. Non dichiara cosa è sicuramente meglio, ma afferma cosa ha più probabilità di apportare benefici e cosa ha più probabilità di nuocere, ma all’interno di questi due estremi si sviluppa un range ampissimo di variabilità, che modella non solo cosa è meglio in generale, ma cosa può essere meglio PER IL SINGOLO, in base appunto all’applicabilità nella propria vita.
Spesso rimaniamo esterrefatti da dissertazioni scientifiche che scardinano credenze e preconcetti che abbiamo mantenuto nella mente per anni, e questo porta a vacillare, a cercare di comprendere chi ha ragione. Partendo dal presupposto che spesso determinate credenze si incasellano nella testa in base a “sentito dire”, è bene sempre cercare di capire se la fonte ha credibilità. Appurato questo, cerchiamo di comprendere a 360° quello che viene esposto, non parzializzando l’informazione o filtrandola in base alle nostre necessità cognitive, focalizzandosi solo su alcuni punti.
Se ad esempio ci viene detto che abbinando due alimenti si possono avere problemi digestivi, il messaggio non è “è vietato abbinare quei due cibi” ma che in alcuni soggetti sensibili è stata riscontrata difficoltà digestiva, e che se non abbiamo mai avuto problemi di sorta, è inutile iniziare a crearseli. Se ci viene detto che fare sei pasti al giorno non è essenziale, questo non implica che sbagliamo a farli, ma semplicemente che sarebbe controproducente imporsi di farli, dal momento che a parità di introito a livello giornaliero non si hanno significativi cambiamenti.
Avere una mente flessibile vuol dire saper applicare i principi che apprendiamo alla nostra quotidianità. Se facciamo determinate scelte alimentari (riguardo al numero dei pasti, all’abbinamento tra gli alimenti, alla selezione dei cibi) chiediamoci la motivazione per cui le facciamo. Se questa motivazione non contrasta con gli amplissimi margini che la scienza definisce, se è determinata da obiettivi propri o da patologie che impongono regole, dal fatto che quella scelta ci porta serenità psicologica senza “soffocarci” e ci evita problemi digestivi, allora quella scelta è quella giusta. Se invece è imposta da regole che siamo convinti (per quale motivo?) siano migliori di altre, ma è frustrante e apporta stress, non è la scelta giusta. Quello che è sbagliato è imporsi di default qualcosa nella convinzione che “sia meglio così”, dal momento in cui qualsiasi regola nutrizionale può tranquillamente essere plasmata in base alle esigenze individuali.
Questo in linea generale. in particolare, poi, è necessario far differenza da chi mangia con la piena CONSAPEVOLEZZA del proprio fabbisogno e di quello che assume (presumibilmente avendo obiettivi sportivi, estetici o di salute), con la possibilità di essere ben più flessibile, e chi mangia “INTUITIVAMENTE”, ovvero ascoltando il proprio corpo. Nel secondo caso ad esempio proporre l’importanza della colazione o la “regola del piatto” (inserire tutti i macronutrienti ad ogni pasto) potrebbe essere funzionale in base al fatto che così si possono evitare deficit/esagerazioni. Proprio perché l’equilibrio deve essere appreso, è necessario che si inizi imparando a calibrare la propria giornata (se la base di partenza è un’alimentazione inconsapevole, squilibrata e confusa), mediante principi semplici, ma non assoluti. Da lì, una volta fatto proprio il concetto di moderazione e variabilità, è possibile imparare ad essere più flessibili, aggiustando il tiro in base alle proprie necessità, anche in base al singolo giorno.
Concludendo, come premesso la scienza della nutrizione si adopera per perfezionare le conoscenze nel tempo, non per imporre linee di demarcazione nette tra quello che si “deve” e “non si deve fare”, ma disegnando ampi e flessibili confini per migliorare la nostra vita, adeguando le varie possibilità alla nostra quotidianità, necessità e sostenibilità psicologica. Infine essendo l’alimentazione un comportamento, dunque mediato da variabili psicologiche, emotive e sociali, è necessario valutare se l’attenzione alle regole alimentari sia limitata o sia sfociata in un’ossessione, e se la presenza di meccanismi disfunzionali in relazione al cibo non denoti una mancanza di equilibrio interiore: in quel caso diventa insufficiente la figura del nutrizionista per spiegare “cosa”, e necessaria la figura di uno psicologo per comprendere insieme “come”, in un percorso di rieducazione all’equilibrio.
Il mio articolo per Studio Trainer Italia